Skip to main content

Un sistema elettrico, sia esso quello isolato di una bicicletta, quello di un abitazione, quello di una regione o quello dell’intero pianeta è, come ogni altro sistema, caratterizzato da input (in questo caso le fonti di produzione di energia) e da output (in questo caso potenza elettrica assorbita per scopi finali). Quello che garantisce, ad ogni sistema, di funzionare, è invece il sistema di controllo. Nel caso di un sistema elettrico i parametri da controllare sono fondamentalmente due: la frequenza indice di bilanciamento fra produzione e consumo di potenza attiva (i watt del contatore) e la tensione, attraverso il bilanciamento dell’energia elettrica e magnetica che passa da una forma all’altra nella maggior parte dei componenti elettrici e che non concorre alla produzione di potenza utile (anche se è necessaria). Negli ultimi anni il sistema elettrico è passato, e passerà sempre più, da un sistema con produzione centralizzata (le centrali producono gli utenti consumano) ad uno con produzione distribuita con molti produttori di energia rinnovabile intermittente. La grande sfida (il cosiddetto concetto di smart grids) sarà quella di demandare prima di tutto la regolazione, in maniera proporzionale, a ciascun produttore e, inoltre, di grande importanza (anche se discutibile e meno rilevante in presenza di un buon sistema di controllo), l’altra sfida sarà quella di colmare i gap di produzione quando le fonti rinnovabili non producono per assenza di fonte primaria (sole, vento ecc.). Da qui nasce l’enorme e attualissimo scenario degli ESS (Energy Storage System o sistemi di accumulo dell’energia), un mercato che promette di smuovere fra i 70 e 120 miliardi di dollari di capitali da oggi al 2020 [1]. L’argomento è estremamente vasto e contiene sia possibilità di speculazioni per pochi grandi soggetti, sia vere potenzialità di generazione e autoconsumo distribuito, ad esempio per ogni abitazione, che svincolerebbero gli utenti dalle dipendenze della bolletta. Nel presente articolo introduciamo e approfondiamo leggermente per i nostri lettori sia i concetti di massima sia i tipi di ESS oggi e domani sul mercato. Resta il fatto, è nostra ferma opinione, che l’unico modo veramente positivo per guardare ai sistemi di accumulo, in un ruolo futuro, è quello di vederli protagonisti nel rendere sempre più indipendenti i piccoli consumatori finali, renderli “responsabili” di se stessi e al contempo indipendenti, regolando se stessi e rimanendo connessi alla rete elettrica nazionale col solo scopo di prelevare energia in casi estremi (mancanza di sole o vento per lunghi periodi, necessità transitoria di molta potenza ecc.…) o per aiutare la rete stessa nella sua regolazione di frequenza e tensione. Il tutto al fine di realizzare quella che alcuni definiscono “democrazia elettrica” nella quale la rete servirà al solo ma importantissimo ruolo di supervisore a tanti soggetti finalmente indipendenti dal petrolio, bollette o da altre fonti centralizzate. Lo scenario è tanto sfidante quanto appassionante e la sfida sembra ancora una volta non basata sulla reale possibilità tecnica di realizzarlo (poiché esistente), ma piuttosto basata sugli equilibri finanziario/politici e di potere del pianeta, che l’energia distribuita rischia di compromettere definitivamente.

Tutti i contenuti sono riservati, di esclusiva proprietà del gruppo Energyhunters, e sono sotto licenza creative commons, la loro diffusione anche parziale o riassunta, non autorizzata, costituisce reato.

Parametri tecnici caratteristici dei sistemi di accumulo

Per poter analizzare i vari sistemi di accumulo, a livello di prestazioni e caratteristiche, occorre individuare prima di tutto e in maniera univoca i parametri con i quali li valuteremo e che sono fra l’altro maggiormente adottati, vediamoli di seguito:

  • Tempo di carica e scarica tcs [s]:

È definito come il tempo necessario a caricare da 0 al 100% la quantità di carica immagazzinabile dal sistema di accumulo o viceversa a scaricare lo stesso sistema dal 100% allo 0%, ipotizzando di avere una capacità di assorbimento o di carica infinita connessa. In qualche sistema si accumulo i tempi di carica e scarica possono differire fra di loro.

  • Efficienza globale di conversione ni[%]

È definita come il rapporto fra l’energia immagazzinata dal sistema di accumulo e la quota parte di questa energia che il sistema di accumulo è in grado di restituire all’ esterno (rete o sistema alimentato) senza considerare le perdite per auto scarica. Vanno a decrementare questo termine le perdite interne del sistema di accumulo dovute alla tecnologia, i servizi ausiliari eventualmente necessari a far funzionare il sistema e tutta quell’energia che non concorre a essere prima immagazzinata e poi resa nuovamente disponibile. In termini analitici (1):

  • Potenza nominale sviluppabile Pn [W]

È la potenza nominale del sistema di accumulo e quindi anche la sua massima potenza sviluppabile verso l’esterno.

  • Energia specifica nominale immagazzinabile En [Wh/W]

È l’energia contenuta in una quantità predefinita di sostanza elementare di un sistema di accumulo (poiché spesso modulare e riproducibile) o in un sistema di accumulo intero. Essa indica la quantità di energia erogabile in un ora alla potenza nominale ed è espressa in rapporto all’unità di potenza sviluppabile Pn in modo da riferire l’energia ad una sempre costante quantità di potenza erogabile, in termini analitici:

  • Costo specifico di realizzazione Cs (solitamente espresso in [€/kWh])

Il costo specifico dei sistemi di accumulo è solitamente espresso come il rapporto fra il costo del sistema di accumulo così come finito e in esercizio e l’energia da esso immagazzinabile durante una carica completa, in termini analitici (3):

  • Cicli di carica e scarica realizzabili Cyl (in altri termini la vita utile tl) [-]

La vita utile di un sistema di accumulo è certamente argomento controverso e dalle molte definizioni. In linea di massima, volendo stare in linea con le precedenti definizioni, si può dire che la vita utile è definita come il tempo che occorre a fare degradare del 20% l’energia immagazzinabile dal sistema compiendo continuamente cicli di carica e scarica. Questo tempo è anche esprimibile direttamente come il numero di cicli C di carica/scarica realizzabili per arrivare al degrado già citato. In termini analitici (4).

Dove con En si è indicato l’energia immagazzinabile dal sistema di accumulo in termini percentuali rispetto ai valori della prima volta in cui è stato messo in servizio e con C i cicli equivalenti.

  • Auto scarica [%/t]

Quasi tutti i sistemi di accumulo sono caratterizzati dal fenomeno dell’auto scarica. Esso consiste nella progressiva perdita di energia accumulata al variare del tempo in assenza di fonti di ricarica o scarica esterne. È solitamente espressa in percentuale di carica persa in un determinato lasso di tempo. Essa in termini analitici è definibile come:

Dove:

Q: è la quantità di carica accumulata per t=t0 all’istante iniziale di massima carica e per t=t1 ad un certo istante t1,al denominatore si trova la relativizzazione del fenomeno di scarica.

Molti autori caratterizzano i sistemi di accumulo anche in base al loro utilizzo ma a nostro avviso questo è una conseguenza dei parametri tecnici di ogni sistema (soprattutto del tempo di carica/scarica) e quindi spiegheremo le applicazioni possibili di ogni sistema di accumulo caso per caso e nelle conclusioni della nostra trattazione.

Panoramica sulle tecnologie di accumulo

Non potendo addentrarci in questo vastissimo argomento più di tanto ci limiteremo di seguito ad elencare i principali sistemi di accumulo ad oggi presenti sul mercato e per ognuno di loro elencheremo le principali caratteristiche, le applicazioni e la capacità di essi di svilupparsi o meno in ragione dei possibili sviluppi tecnologici. Procederemo con questo ordine che costituisce la seconda grande classificazione degli ESS:

  • Meccanici
  • Elettrochimici
  • Elettro magnetici

1 – ESS Meccanici – I Bacini idroelettrici di pompaggio – (PHS – pumped hydro storage)

È il primo sistema di accumulo sviluppato a livello mondiale per storage di energia elettrica (I primi impianti al mondo di questo tipo risalgono agli ultimi anni del 1800 in Italia e Svizzera); inoltre i bacini di pompaggio rappresentano il 99% della potenza di accumulo installata nel mondo. Sono applicazioni che richiedono grandi spazi a disposizione e morfologie territoriali particolari sia in altitudine che in consistenza dei suoli. In linea teorica la potenza sviluppabile da un sistema di accumulo idroelettrico è data dalla semplice formula (6):

Dove:

P è la potenza nominale del sistema risultante erogabile [W]

Q è la portata della condotta/turbina espressa in [m<sup”>3/s]

ρ è la densità del fluido impiegato nel sistema, nel caso di acqua pari a 1000 [kg/m3]

h è il cosiddetto battente idraulico ossia l’altezza della colonna d’acqua che va dalla turbina all’inizio del vaso di raccolta del fluido [m]

g è l’accelerazione di gravità pari a 9,81 [m/s2]

η è l’efficienza del sistema, nel caso di impianto idroelettrico di pompaggio essa può essere stimata pari all’ 80% [-]

La tecnologia funziona in maniera molto semplice: quando si ha disponibilità in eccesso di produzione di energia si preleva l’acqua da una quota in basso (può essere il mare o un lago a quota inferiore) e la si pompa in alto, quando invece le fonti rinnovabili smettono di funzionare per mancanza di fonte primaria (sole, vento) l’acqua in alto viene fatta scendere a valle e, tramite le stesse macchine che ora fungono da turbine, riconvertita in energia elettrica. Le moderne tecnologie a magneti permanenti utilizzate nei motori reversibili hanno oggi accelerato i tempi di inversione del pompaggio (dell’ordine dei minuti) e della produzione migliorando notevolmente le prestazioni di questo sistema, compresa l’efficienza di conversione globale che oggi può raggiungere cifre comprese fra il 70 e l’85%. Ad oggi, territorio permettendo, questo è sicuramente uno dei migliori sistemi di accumulo esistenti poiché presenta alte potenze e densità, specifiche ed assolute, sviluppabili. Inoltre, particolare non da poco, in presenza di una rete elettrica adeguata, i bacini idroelettrici si possono trovare anche a distanze notevoli dalle fonti di energia primaria e comunque compensare i picchi e le mancanze di produzione tipiche delle fonti rinnovabili non programmabili.[2][3]

Tempo di carica e scarica tcs [h] 8 ÷36
Efficienza globale di conversione ƞ [%] 70 ÷ 85
Cicli di carica e scarica realizzabili Cyl (in altri termini la vita utile tl) [-] 5000 ÷ 20000
(40 anni tempo medio di vita utile considerato)
Energia specifica nominale immagazzinabile En [MWh/MW] 4 ÷ 10
Potenza nominale sviluppabile Pn [MW] 50 ÷ 3000
Costo specifico di realizzazione Cs [€/kWh] 350
Applicazioni tipiche Immagazzinamento energia rinnovabile in eccesso con grande variabilità (soprattutto energia eolica)
Regolazione di rete (frequenza e tensione)
Soddisfacimento del carico elettrico
Vantaggi Enormi capacità di energia accumulabile
Tempi di inversione dell’ordine del minuto
Lunga vita utile
Impatto sull’ambiente solo come consumo di suolo e all’atto della costruzione ma positivo in casi di zone che necessitano di acqua
Svantaggi Necessità di grandi e particolari situazioni morfologiche, alti costi costruzione in caso di rocce particolari
Grandi difficoltà nel realizzarle a causa dell’impatto sul territorio
Auto scarica [%/t] Ininfluente o nessuna

Scheda ESS – Bacini idroelettrici di pompaggio – caratteristiche medie

2 – ESS Meccanici – sistemi ad aria compressa (CAES – compressed air energy storage)

I sistemi di accumulo ad aria compressa sono sistemi noti sino dall’inizio del ‘900. Essi, tramite un generatore reversibile, pompano in un ambiente confinato ed ermetico (che può essere una caverna nel sottosuolo o anche dei contenimenti artificiali) aria o un altro gas mettendolo sotto pressione. Al momento di far ritornare disponibile l’energia immagazzinata, il gas viene fatto espandere all’interno di turbine e quindi riconvertito in energia elettrica. La caratteristica principale del sistema è che il processo di compressione è di natura esotermica e quindi raffredda il gas (e ciò che il gas incontra) cedendo calore all’ambiente, calore che viene solitamente recuperato; mentre il processo di espansione è endotermico, caratterizzato dall’assorbimento del gas di energia(cioè l’aria) dall’ambiente e da un conseguente riscaldamento dell’aria di funzionamento. Una rappresentazione schematica di questi sistemi è esemplificata in Figura 1.

Fig. 1 – Rappresentazione schematica esemplificativa di un sistema di accumulo di energia elettrica ad aria compressa (CAES). Figura tratta dal sito [12]

Questo processo, anche se si adottano ad oggi tecniche consuete di recupero del calore, ha un’efficienza media globale che non supera spesso il 70%. Il sistema CAES più diffuso è il cosiddetto CAES adiabatico il quale prende questo nome perché si propone di recuperare, attraverso un ciclo chiuso, il calore che viene espulso dal fluido nella compressione per cederlo al fluido che si deve espandere durante il prelievo di energia.

Tempo di carica e scarica tcs [h] 4 ÷ 10
(solitamente il tempo di carica è ¾ volte il tempo di scarica)
Efficienza globale di conversione ƞ [%] 70
Cicli di carica e scarica realizzabili Cyl (in altri termini la vita utile tl) [-] 40000
Energia specifica nominale immagazzinabile En [Wh/W] 10
Potenza nominale sviluppabile Pn [MW] 25÷250
Costo specifico di realizzazione Cs [€/kWh] 350
Applicazioni tipiche Livellamento di media durata su produzione rinnovabile di natura intermittente, particolarmente adatto per applicazione abbinata a generatori eolici in zone ad alta ventosità
Vantaggi Tecnologia relativamente semplice e ben consolidata soggetta a sola usura meccanica.
Possibilità di immagazzinare grandi quantità di energia
Flessibilità di esercizio data dalla bassa costante di tempo di inversione, carica e scarica
Svantaggi Necessario localizzare impianto in luogo idoneo dotato di insenature sotterranee capaci di immagazzinare il gas compresso
Efficienza non molto alta e influenzata dal tipo di tecnologia utilizzata per la compressione/espansione
Costi di manutenzione variabili in base al tipo di tecnologia impiegata
Auto scarica [%/t] Ininfluente o nessuna

Scheda ESS – CAES – caratteristiche medie

3 – ESS Meccanici – Volani (FES – Flyweel energy storage)

Il sistema di accumulo meccanico più semplice è quello che sfrutta l’inerzia di corpi in movimento. In particolare i volani, o in inglese flyweel, sono masse in rotazione rispetto al proprio asse le quali vengono accelerate quando l’energia elettrica, convertita in meccanica, deve essere immagazzinata per poi decelerare al momento che l’energia deve essere riceduta alla rete rallentandoli-

A livello analitico l’energia immagazzinata in volano è pari a (7):

La formula deriva ovviamente dalla definizione di energia cinetica e all’interno troviamo i termini:

ω è la velocità angolare del corpo in rotazione [rad/s]

I è il momento di inerzia [Kg·m2] il quale rappresenta l’inerzia di un corpo a variare la sua velocità. Più è alto e più il corpo avrà la capacità di accumulare energia ma, allo stesso tempo, più sarà difficile fare variare la sua velocità di rotazione. In linea generale e in termini analitici si può dire che il momento di inerzia è definibile come segue (8):

In sostanza il momento di inerzia è la somma delle masse presenti nel corpo in rotazione ognuna moltiplicata per la distanza al quadrato dall’asse di rotazione. Per un disco uniforme, per esempio, il risultato dell’integrale è I=mr2 dove m è la massa del disco e r il raggio dello stesso. Le strategie per aumentare la capacità di immagazzinamento di un volano sono quelle di aumentarne la sua velocità di rotazione oppure il suo momento di inerzia. Ad oggi i volani sono solitamente utilizzati in configurazione ibrida a motori termici per aumentarne la stabilità e raramente come fonte indipendente di accumulo di energia a causa del loro costo elevato e del loro coefficiente di auto scarica molto alto dovuto agli attriti.

Tempo di carica e scarica tcs [min] 1 ÷ 60
Efficienza globale di conversione ƞ [%] 90
Cicli di carica e scarica realizzabili Cyl (in altri termini la vita utile tl) [-] 100000
Energia specifica nominale immagazzinabile En [Wh/W] 0,01 ÷ 0,1
Potenza nominale sviluppabile Pn [kW] 10÷20000
Costo specifico di realizzazione Cs [€/kWh] 6500
Applicazioni tipiche Associazione a motori termici per aumentare inerzia e evitare interruzioni di alimentazione
Vantaggi Tecnologia semplice e ben conosciuta
Durata di vita altissima
Svantaggi Alti coefficienti di auto scarica dovuti agli attriti
Alti costi
Auto scarica [%/t] Alta, fino al 20%/giorno

Scheda ESS – Volani – caratteristiche medie

4 – ESS Elettrochimici (Electochemical storage systems) – Le batterie

Le batterie sono la tecnologia di accumulo più conosciuta e utilizzata nel mondo. Da sempre supportano i dispositivi portatili che utilizziamo quotidianamente, quali strumenti, telefoni cellulari e altro. È una tecnologia arrivata ormai ad un elevato livello di maturazione e quindi consolidata a livello tecnico. Le batterie sono sostanzialmente costituite da una o più celle connesse in serie o parallelo (per questo si chiamano batterie) nelle quali l’energia contenuta sotto forma elettrochimica viene convertita in energia elettrica. Nelle cosiddette batterie primarie questo processo è irreversibile mentre nelle batterie secondarie (quelle che tratteremo) lo è, e la batteria può essere ricaricata anche se per un numero finito di cicli e quindi riportata al suo stato di carica originaria. Le batterie funzionano, in tutti i casi, grazie a reazioni di ossidoriduzione, ossia reazioni in cui i due elementi che costituiscono gli elettrodi si scambiano elettroni. L’elemento che perde elettroni si ossida, l’elemento che acquista elettroni si riduce. Il processo è favorito e innescato da un terzo elemento, che solitamente è interposto fra i due elettrodi, detto elettrolita. Il funzionamento e la terminologia delle batterie non sono di immediata comprensione. Al fine di facilitare la comprensione dei processi di carica e scarica si veda la Figura 2 nella quale è rappresentato il processo elettrochimico di una batteria piombo-acido di cui vedremo i dettagli in seguito.

Figura 2 – Rappresentazione di una batteria a piombo-acido come esempio di funzionamento degli accumuli elettrochimici in genere: nella scarica (funzionamento da pila o cella galvanica) la batteria è una sorgente di corrente spontanea in cui il catodo si riduce e l’anodo si ossida grazie alla dissociazione dell’elettrolita e creando una differenza di potenziale capace di generare lavoro, nella scarica (funzionamento da cella elettrolitica) si deve invece applicare lavoro esterno alla batteria (sotto forma di tensione elettrica) in modo da dissociare l’elettrolita e favorire i processi inversi di ricombinazione chimica ossia l’ossidazione dell’anodo e la riduzione del catodo.

Al fine di avere chiari i processi di carica e scarica nelle varie tipologie di accumuli elettrochimici che vedremo in seguito, in linea generale si tenga presente sempre il dettaglio della tabella di Figura 3.

processo di scarica
(funzionamento da generatore, pila galvanica)
(-) Anodo (si ossida) cede elettroni→ Catodo (si riduce) acquista elettroni (+)
L’elettrolita si dissocia – L’energia libera di Gibbs (entalpia) è <0 – la reazione avviene per via spontanea generando lavoro
processo di carica (funzionamento da cella elettrolitica) (+) Anodo (si ossida) acquista elettroni à Catodo (si ossida) cede elettroni (-)
L’elettrolita si riforma – l’energia libera di Gibbs (entalpia libera) >0 – la reazione avviene nel senso opposto con l’apporto di lavoro

Figura 3 – Tabella contenente i principi di carica e scarica degli accumulatori chimici di qualsiasi natura essi siano, durante i processi di carica (in basso) e di scarica (in alto).

Prima di addentrarci nel dettaglio dei tipi di batterie esistenti è importante enunciare altre tre considerazioni fondamentali riguardanti gli accumuli elettrochimici:

  • L’intensità della corrente elettrica erogabile da un accumulatore elettrochimico è direttamente proporzionale all’area della superficie di contatto interposta fra gli elettrodi e l’elettrolita. Tanto maggiore è la superficie di contatto tanto maggiore sarà il numero di molecole che contemporaneamente entreranno a fare parte della reazione, producendo un flusso di elettroni più intenso.
  • La quantità totale di energia che un accumulatore elettrochimico può immagazzinare è direttamente proporzionale alla quantità di materia (molecole) degli elementi che entrano a fare parte della reazione durante il processo di carica/scarica
  • Riguardo alla tensione nominale di ogni cella essa è un altro parametro importante e univocamente determinato dai potenziali della reazioni chimiche che si sviluppano nell’accumulatore. Essa è quindi caratteristica per ogni mix anodo/catodo/elettrolita. Maggiore è la tensione di ogni cella, maggiore, generalmente, la densità energetica della batteria a parità di volume.

In linea generale è quindi intuibile che i sistemi elettrochimici hanno numerosi punti deboli quali l’impiego di sostanze ad elevato numero di moli nella reazione, l’elevato ingombro, la limitazione fisica della durata nel tempo data dalla certa e non perfetta ricombinazione degli elementi durante i cicli di scarica e carica ecc. In linea generale un supporto fisico basato sulla chimica utilizzato per realizzare un ESS è sicuramente uno stadio primitivo della tecnologia di accumulo. Ad oggi però è il solo versatile, facilmente realizzabile, modulare e conosciuto e, per questo, il più utilizzato anche in applicazioni di potenza. Un ultimo parametro, in aggiunta a quelli elencati nell’introduzione, utile per comprendere le differenze tecnologiche fra le varie tecnologie di accumulo, è quello dell’ energia specifica per Kg. Esso è definito come la quantità di energia (espressa in Wh) immagazzinabile in ogni Kg di batteria ed indica l’intensità specifica e quindi l’efficacia tecnologica di ogni batteria, uniremo questo parametro a quello di valutazione degli altri ESS.

4.1 – Batterie a Piombo – Acido

Sono le batterie più utilizzate al mondo, equipaggiano la maggior parte delle autovetture e sono usate in moltissime applicazioni. L’elettrolita è acido solforico, gli elettrodi sono di Piombo e ossido di Piombo. Vediamone le caratteristiche principali:

Tempo di carica e scarica tcs [h] 1 ÷ 2
(tipico)
Efficienza globale di conversione ƞ [%] 90
Cicli di carica e scarica realizzabili Cyl (in altri termini la vita utile tl) [-] Ad alta energia: 2 ÷ 5000
Ad alta potenza: 20000
Energia specifica nominale immagazzinabile En [Wh/W] 0,25
Potenza nominale sviluppabile Pn [kW] 0,01÷5000
Costo specifico di realizzazione Cs [€/kWh] 900
Auto scarica [%/t] 3÷ 20%/mese
Energia specifica immagazzinabile [Wh/Kg] 37
Tensione di cella tipica [V] 2,0
Applicazioni tipiche Batterie per autovetture, equipaggiamento di strumentazione, in combinazione con impianti fotovoltaici o eolici
Vantaggi Tecnologia consolidata, tecniche di ricarica e monitoraggio della carica semplici, buon rapporto costo/performance, facilità di riciclo dei materiali costituenti
Svantaggi Degrado delle prestazioni in durata in caso di grandi assorbimenti, uso del Piombo come costituente (sostanza velenosa), bassa densità energetica.
Sofferenza alle basse temperature (<-5°C)
Reazione completa Pb(s)+PbO2(s)+2H2SO4(sol)↔2PbSO4(s)+2H2O

Scheda ESS – Batterie Piombo acido – caratteristiche medie

4.2 – Le batterie Nickel – Cadmio, Nickel – idrato e Nickel – Metal idrato

Le batterie basate sulla tecnologia Nickel Cadmio (dette anche alcaline) sono di vecchissima concezione (le prime risalgono al 1915). Le varianti alla configurazione classica Nickel Cadmio sono basate su una tecnologia che impiega uno dei due elettrodi costituiti da leghe metalliche o idrogenate al posto del Nickel e sono state introdotte a partire dal 1995 per eliminare in questi sistemi di accumulo la presenza del Cadmio poiché tossico e pericoloso per l’ambiente. In generale tutte le batterie basate sul Nickel hanno il vantaggio di avere una più bassa temperatura di esercizio (da -20 a +50°C), caratteristica unica fra le batterie di accumulo elettrochimico e una densità energetica maggiore delle piombo acido. Ai fini delle funzioni di energy storage trattate nel presente articolo tralasceremo le batterie classiche Ni-Cd e la loro variante Nickel idrogeno per trattare quello che oggi è fondamentalmente la massima e più usata evoluzione di questa tecnologia ossia le Nickel – Metal idrato. In queste batterie l’elettrodo negativo è costituito da idrogeno assorbito e rilasciato tramite apposite leghe metalliche (idruri metallici). Di questi ultimi ve ne sono di vari tipi e a seconda della loro costituzione si possono migliorare alcune proprietà delle batterie. La soluzione elettrolitica che permette il funzionamento della batteria fungendo da deposito di carica è solitamente una soluzione di idrossido di potassio al 30% circa. In linea generale durante la carica sull’elettrodo positivo si produce ossigeno secondo la reazione:

Mentre sull’elettrodo negativo si ha la seguente reazione:

Dove con M è indicato il generico idruro metallico che è in grado di immagazzinare idrogeno. L’argomento meriterebbe una trattazione separata, vediamo qui, per motivi di brevità, le principali caratteristiche delle batterie Nichel metal idrato:

Tempo di carica e scarica tcs [h] 1 ÷ 6
(tipico)
Efficienza globale di conversione ƞ [%] 70
Cicli di carica e scarica realizzabili Cyl (in altri termini la vita utile tl) [-] Ad alta energia: 1000
Ad alta potenza: 100000
Energia specifica nominale immagazzinabile En [Wh/W] 0,05 ÷ 0,25
Potenza nominale sviluppabile Pn [kW] 0,01÷5000
Costo specifico di realizzazione Cs [€/kWh] 1500 €/kWh
Auto scarica [%/t] 2 ÷ 3%/mese
Energia specifica immagazzinabile [Wh/Kg] 90
Tensione di cella tipica [V] 1,2
Applicazioni tipiche Batterie per autovetture elettriche ed ibride, equipaggiamento di strumentazione
Vantaggi Tecnologia consolidata, alta densità energetica rispetto alle piombo acido, ottimo comportamento per temperature estreme
Svantaggi Costi comparabili con la più flessibile e più performante tecnologia al litio e ioni di litio, tossicità del Cadmio (parzialmente risolta)
Reazione completa NiOOH + MH ↔ M+ NiOH

Scheda ESS –batterie Nickel metal idrato – caratteristiche medie

4.3 – Batterie a ioni di litio

Le batterie agli ioni di litio sono le batterie che a partire dal 2000 hanno iniziato a sostituire le classiche batterie alcaline e piombo acido per quasi tutte le applicazioni di potenza e di energia. La loro principale caratteristica che le ha rese vincenti sul mercato è la loro elevata tensione della singola cella che è stabile intorno ai 3,7 V (al 100% di carica le ultime possono raggiungere e superare i 4V), valore quasi doppio rispetto alle precedenti tecnologie. Questa differenza di potenziale così elevata, garantisce più alte densità energetiche, e quindi prestazioni maggiori in minori spazi e con minori pesi specifici, il tutto con costi equivalenti o minori rispetto alle tecnologie classiche che abbiamo citato in precedenza.[11] L’altro grande vantaggio di queste batterie è la quasi totalità di assenza di effetto memoria ossia la progressiva perdita di energia massima accumulabile dovuta alla reazione dell’elettrolita con aria, acqua, umidità o altre sostanze, e, non ultimo, i loro discreti margini di sviluppo futuri dati soprattutto dall’evolversi dei materiali costituenti l’elettrolita e il catodo.Come spesso succede il successo dei sistemi energetico/ingegneristici è anche correlato al loro grado di semplicità: sistemi semplici presuppongo solitamente meno controindicazioni e quindi rendimenti maggiori. Lo stesso vale nelle batterie al litio, nelle quali la circolazione di corrente scaturisce semplicemente dal campo elettrico generato dalla differente concentrazione e composizione chimica dei composti di litio che risiedono nell’anodo e nel catodo. Semplicemente costruendo anodo e catodo in modo differente, si riesce a creare un campo elettrico decrescente dall’anodo verso il catodo; campo elettrico che da origine, quindi, ad un flusso di elettroni (nel processo di scarica). Il processo può essere invertito applicando un potenziale esterno alla batteria e ri-migrando gli stessi ioni dal catodo all’anodo.Per realizzare l’anodo si utilizza solitamente la grafite, materiale che, per la sua costituzione strutturale atomica, ha una predisposizione ottimale nell’ospitare atomi di litio. La matrice amorifica tetraedrica della grafite infatti, quando ospita atomi di litio, subisce solo un riassetto atomico e non significativi cambiamenti chimici; caratteristica che le permette di tornare esattamente o quasi al suo stato originale dopo i cicli di carica/scarica. Il catodo,invece, è costituito solitamente da un sale del Litio stesso (ossido di litio cobaltato, diossido di manganese del litio, fosfato ferroso di litio, litio Nickel Manganese diossido di cobalto, e altri) il quale si ossida e si riduce cedendo e acquistando atomi di litio. Maggiore è la differenza di campo elettrico che si riesce a stabilire grazie al numero di atomi ospitati dalle due strutture maggiore sarà la tensione ai capi della cella e maggiore la corrente erogabile. In termini analitici la tensione a circuito aperto di una batteria è infatti esprimibile tramite la (9).

Dove:

µanodo è il potenziale standard del catodo (si riduce acquistando elettroni nella scarica) [V]

µcatodo è il potenziale standard dell’anodo (si ossida cedendo elettroni nella scarica) [V]

F è la costante di Faraday pari a 96485 C/mole

Un altro dei vantaggi delle batterie al litio è la composizione dell’elettrolita il quale non partecipa alle reazioni di carica e scarica direttamente ma funge soltanto da vettore per gli ioni di litio e quindi non varia la sua massa durante il funzionamento. Proprio per questa sua “trasparenza” nel processo di ossido riduzione l’elettrolita può essere costituito sia da un liquido, che da un semi liquido (gel), o da un polimero. Questa caratteristica rende le batterie al litio più trasportabili, flessibili e sicure anche a fronte del fatto che esse mal tollerano la carica a fondo o il sovraccarico pena l’emissione di gas roventi o addirittura l’esplosione. Con l’ausilio di elettroliti non liquidi si è quindi ovviato anche alla sicurezza di queste batterie pagando una piccola caduta di tensione sull’elettrolita (massimo 10mV) per l’impiego di elettroliti al gel o semi solidi. In figura 4 un riassunto di quello che è la batteria al litio nel suo complesso.

Fig. 4 – A sinistra il principio di funzionamento di una batteria al litio con anodo in grafite e catodo formato, in questo caso, da di ossido di manganese di litio. A destra in alto un esploso della struttura dell’anodo e del catodo, in basso, le soluzioni costruttive ad oggi presenti sul mercato per il catodo con i relativi potenziali di batteria risultanti riferiti ai potenziali standard. [13]

La ricerca tecnologica si sta ad oggi concentrando sull’affinamento dei materiali costituenti soprattutto il catodo ma anche l’anodo e l’elettrolita, è opinione diffusa che nell’arco dei prossimi anni ci si potrà aspettare un miglioramento ulteriore della tecnologia agli ioni di litio.

Tempo di carica e scarica tcs [h] 1 ÷ 12
(tipico)
Efficienza globale di conversione ƞ [%] 90
Cicli di carica e scarica realizzabili Cyl (in altri termini la vita utile tl) [-] Ad alta energia: 800
Ad alta potenza: 150000
Energia specifica nominale immagazzinabile En [Wh/W] 0,08 ÷ 0,4
Potenza nominale sviluppabile Pn [kW] 0,01÷8000
Costo specifico di realizzazione Cs [€/kWh] 1300
Auto scarica [%/t] 5 ÷ 10%/mese
Energia specifica immagazzinabile [Wh/Kg] Ad alta energia: 130
Ad alta potenza: 65
Tensione di cella tipica [V] 3,7 ÷ 4,2
Applicazioni tipiche Tutte tranne quelle di altissima energia
Vantaggi Alte possibilità di sviluppo futuro
Leggerezza
Semplicità e flessibilità costruttiva
Costo paragonabile alle alte tecnologie ma parametri di densità energetica e potenza maggiori
Caratteristica di carica e scarica molto veloci
Quasi assenza dell’effetto memoria
Svantaggi Sofferenza al sovraccarico (solitamente le si carica fino al 90% della capacità nominale per evitare invecchiamenti precoci e danneggiamenti)
Reazione completa CLi ↔MLi

Scheda ESS –batterie ioni di litio – caratteristiche medie

4.4 – Batterie Zebra

Le batterie ZEBRA sono una recente alternativa che tenta di competere con le batterie al litio per applicazioni energy intensity a costi più contenuti. Queste batterie, utilizzano un catodo formato da Sodio e cloruro di alluminio, (NaAlCl4) che, a temperature superiori a 154°C, è un sale liquido, e un anodo, formato da sodio liquido. La barriera, capace di creare il potenziale di batteria e al contempo separare l’anodo dal catodo, è formata da β-allumina, un materiale ceramico formato da ossido di alluminio. Questo materiale ceramico isomorfico è conduttivo per gli ioni Na+ ma isolante per gli elettroni. Questa fondamentale caratteristica fa si che la quantità di carica contenuta nella batteria sia il risultato del bilanciamento ionico degli ioni sodio fra anodo e catodo. In particolare, nel processo di carica, gli elettroni apportati dalla fonte esterna verso il collettore di anodo vanno a formare sodio liquido stabile nell’anodo stesso poiché la presenza dei soli elettroni attira ioni sodio dal catodo. A sua volta, quindi, l’elettrodo liquido di catodo, formato solitamente da una struttura porosa di Nickel e sale (NaCl) impregnata con il già citato reagente stesso (Sodio cloruro di alluminio NaAlCl4), cede ioni sodio all’anodo tramite la β allumina e acquista anch’ esso potenziale. Il processo di scarica vede esattamente le parti invertite, con il catodo che acquista gli ioni sodio ceduti dall’ anodo. Il meccanismo sembrerebbe fin qui banale, per altro con elementi in gioco meno pregiati e pesanti rispetto ad altre batterie. In realtà, purtroppo, il sodio liquido e i suoi ioni hanno una conducibilità accettabile (per non perdere troppa caduta di potenziale nella batteria) solamente con temperature di esercizio superiori ai 260°C e più la temperatura aumenta più la conducibilità diminuisce (a 260°C essa vale circa 0,2 Ω-1cm-1). Per questo motivo il range operativo di temperatura di esercizio delle batterie ZEBRA è solitamente compreso fra i 270 e i 350°C. Questa elevata temperatura di esercizio obbliga il costruttore a dotare le batterie di sistemi di riscaldamento che possono avere potenze nominali anche dell’ordine del 20% rispetto a quelle di batteria, oltre a sistemi di contenimento del calore tramite materiali isolanti posti sulle pareti degli accumulatori stessi. Nella Figura 5 è mostrato un esempio costruttivo e di reazione relativo ad una batteria ZEBRA descritta.

Figura 5 – Costituzione e principio di funzionamento di una batteria ZEBRA

Non ci addentreremo in ulteriori dettagli di questa batteria e non citeremo ulteriormente le batterie sodio/zolfo le quali funzionano quasi esattamente come le zebra e forse perfino in maniera più semplice (anodo in zolfo sotto forma di disodio tetrasolfato Na2S4 e catodo di sodio liquido separati da β-allumina). Vediamo per concludere il paragrafo sulle batterie “liquide” le caratteristiche generiche di una batteria sodio zolfo.

Tempo di carica e scarica tcs [h] 1 ÷ 12
(tipico)
Efficienza globale di conversione ƞ [%] 70
(a causa dei sistemi di riscaldamento)
Cicli di carica e scarica realizzabili Cyl (in altri termini la vita utile tl) [-] 1000
Energia specifica nominale immagazzinabile En [Wh/W] 0,55
Potenza nominale sviluppabile Pn [kW] 1 ÷ 10000
Costo specifico di realizzazione Cs [€/kWh] 400
Auto scarica [%/t] 12,5%/giorno
Energia specifica immagazzinabile [Wh/Kg] 95
Tensione di cella tipica [V] 2,35
Applicazioni tipiche Per veicoli elettrici stradali
Accumulo di energia nelle reti di trasmissione e livellamento picchi improvvisi di potenza
Vantaggi Semplicità costruttiva
Alta densità di energia
Modularità che impedisce guasti a catena
Facile monitoraggio delle prestazioni
Possibilità di rottura parziale senza pregiudicare funzionamento
Costo contenuto
Materiali semplici e non tossici
Alta vita media
Svantaggi Necessità di temperature di esercizio elevate
Riscaldamento può consumare fino al 20% dell’energia impiegata
Elevati coefficienti di auto scarica
Efficienza particolarmente elevata (quasi prossima al 100%) se non si considera l’energia utilizzata per il riscaldamento dei materiali
Reazione completa Ni+2NaCl↔NiCl2+2e+2Na+

Scheda ESS –batterie ZEBRA – caratteristiche medie

5 – ESS Elettromagnetici – I supercondensatori o supercapacitors

I supercondensatori sono una tecnologia derivata da quella dei classici condensatori elettrolitici. A differenza dei normali condensatori presentano però un’elevatissima capacità e, di conseguenza, sono in grado di immagazzinare grandi quantità di energia. Un condensatore (nella sua forma più semplice) è costituito da due armature conduttive che formano anodo e catodo. Fra anodo è catodo è inserito un materiale isolante. Applicando una tensione fra anodo e catodo il condensatore fa depositare cariche elettriche opposte sulle armature (processo di carica). Questo appena descritto è il principio base dei più semplici condensatori ossia i condensatori elettrostatici. L’energia di un condensatore, di qualsiasi forma esso sia, è quindi immagazzinata sotto forma di energia elettrostatica (maggiormente e in linea generale). Tale energia è esprimibile dalla relazione seguente (10):

Dove:

V è la tensione nominale applicata fra anodo e catodo [V]

C è la capacità del condensatore, legata alla quantità di carica accumulata Q a sua volta dalla relazione Q=C·V [Coulomb]. La capacità, che si misura in Farad, ed è il parametro fondamentale di tutti i condensatori poiché indica la sua propensione ad accumulare o meno energia. Tale capacità, in qualsiasi condensatore, è esprimibile, trascurando gli effetti non lineari e di prossimità della distribuzione del campo elettrico, in prima approssimazione dalla (11):

Dove:

ε: è la costante di permettività elettrica del materiale isolante posto fra anodo e catodo. La permettivitàelettrica indica infatti la capacità di un materiale di resistere e contrastare il campo elettrico che lo attraversa. Solitamente questa grandezza, caratteristica di ogni materiale, è espressa a partire dalla permettività elettrica del vuoto ε0 pari a circa 8,8542·10-12 [F/m] secondo la relazione ε= ε0·εr dove con εr si è invece indicata la permettività elettrica del materiale dielettrico utilizzato. Maggiore è la permettività, maggiore sarà la resistenza che il dielettrico offrirà alla polarizzazione, maggiore quindi la carica necessaria per contrastare questo effetto e quindi quella accumulata nel condensatore a parità di altri parametri.

A: è semplicemente la superficie dei due contatti di anodo e catodo [m2]

d: è la distanza fra le armature di anodo e catodo [m]

Per ottenere elevate capacità è quindi necessario avere alte permettività elettriche, grandi aree per il deposito delle cariche e piccole distanze fra gli elettrodi. La prima strategia per aumentare la capacità di un condensatore risulta essere quella di costituire, grazie a processi chimici, dell’ossido isolante sulla superficie dell’anodo e inserire, al contempo, fra anodo e catodo, un elettrolita (liquido capace di dissociarsi in ioni). In questo modo l’anodo rimane costituito dal solo metallo, l’ossido di anodo funge da dielettrico e il catodo è costituito dall’elettrolita più l’armatura di catodo. Questa costruzione consente rapporti A/d elevatissimi poiché l’ossido isolante è praticamente attaccato all’anodo e il termine d quindi è molto piccolo. Questo appena descritto è il caso dei condensatori elettrolitici. Per arrivare ai supercondensatori si deve fare un’ulteriore passo in avanti. In questi componenti ciascuno dei due elettrodi è formato da un collettore metallico unito ad un substrato attivo ad alta superficie specifica (tipicamente centinaia di migliaia di volte quella di un condensatore tradizionale); i due elettrodi sono separati da una membrana detta setto separatore la quale è il materiale dielettrico ad elevata ε. Questo materiale permette la mobilità degli ioni ma allo stesso tempo impedisce la conduzione di elettroni e crea quindi l’isolamento elettrico. Il sistema viene impregnato da un elettrolita che fornisce gli ioni di dissociazione che formano il potenziale del condensatore. Prima di andare avanti con questa spiegazione e vedere alcuni dettagli sui componenti citati si veda la Figura 6 nella quale si rappresenta la modalità costruttiva dei condensatori citati a confronto:

Figura 6 – Principio costruttivo di base a confronto fra vari tipi di condensatori. In alto si ricordano le formule che valgono, nei casi generali, per tutti.

Nella realtà industriale esistono decine di tipi di condensatori che si differenziano fra loro per i materiali utilizzati nel comporre le varie parti. Queste combinazioni hanno lo scopo di raggiungere maggiori o minori stabilità del valore di capacità, tolleranze diverse in temperatura ecc. Il tutto in conseguenza del fatto che i condensatori sono utilizzati dall’industria elettronica di segnale fino a quella di potenza. Volendo generalizzare al massimo, si riportano nella tabella di Figura 7 le principali caratteristiche costruttive di ogni famiglia di condensatori.

Caratteristiche costruttive medie tipiche Condensatori elettrostatici Condensatori elettrolitici Superocondensatori
Superficie A specifica armature tipica [m2/g] 0,1 1 3000
Spessore d dello strado dielettrico [m] 1·10-3 1·10-8 1·10-9
Capacità C massima realizzabile [F] 1·10-12÷1·10-3 1·10-9÷1 1÷5·103
Tensione di esercizio equivalente a tensione di breakdown del dielettrico [V] 6 ÷ 103 1 ÷ 250 1 ÷ 3,8
Energia media immagazzinabile [J] 0,011 0,25 4500
Particolarità costruttiva Nessuna, solo varianti nei materiali che costituiscono lo strato dielettrico e le geometrie (sferiche, cilindriche ecc.) per aumentare l’area specifica Aggiunto elettrolita per aumentare la quantità di carica gestibile, dielettrico formato da ossido metallico che rende d estremamente piccola Aggiunto elettrolita, ma soprattutto impiegati materiali nano strutturati amorfi per aumentare vertiginosamente l’area specifica degli elettrodi

Figura 7 – Principali caratteristiche costruttive per ogni tipologia di condensatori.

Volendo fare un brevissimo focus sui componenti di un super condensatore possiamo dire che:

  • Riguardo agli elettrodi la ricerca punta a trovare materiali amorfi che presentino sempre maggiori aree specifiche. Al momento i materiali più all’avanguardia sono il carbonio e alcuni ossidi metallici che raggiungono anche i 3000 m2/g. Questi materiali sono generalmente polveri di carbonio depositate su un substrato metallico. Si tenga altresì presente che non ci si può spingere oltre determinati valori di superficie specifica per ogni tipo di materiale poiché aumentare l’area A in definitivamente significa anche ridurre le dimensioni fra le anse del materiale e, dopo un certo limite, queste dimensioni tipiche si avvicinano a quelle dell’elettrone che inizia a incontrare resistenza facendo precipitare drasticamente la capacità.
  • Riguardo all’elettrolita possiamo dire che esso deve avere: la massima tensione di dissociazione possibile (ossia la massima tensione oltre alla quale il liquido si dissocia definitivamente non lavorando più tramite ioni) al fine di massimizzare l’energia immagazzinata. L’utlizzo di elettroliti ad elevata tensione di dissociazione si scontra però con il loro limite, rappresentato dall’elevata resistenza al passaggio di corrente la quale si traduce in un aumento dalla ESR equivalente (electric series resistor) che genera un’elevata caduta di tensione sul componente e quindi una diminuzione dell’energia immagazzinabile.

L’argomento dei super condensatori è, come si può notare, vasto e pieno di interessanti accorgimenti. Da una parte la numerosità dei componenti sui quali si può agire, dall’altra lo sviluppo recente della tecnologia dei materiali, fanno sicuramente dei super condensatori una delle tecnologie con i maggiori margini di sviluppo nell’industria dell’accumulo di energia. Al fine di inquadrare questi componenti si veda la tabella riassuntiva seguente che riporta i valori di confronto.

Tempo di carica e scarica tcs [min] 0,1 ÷ 1
Efficienza globale di conversione ƞ [%] 97
Cicli di carica e scarica realizzabili Cyl (in altri termini la vita utile tl) [-] 500.000
Energia specifica nominale immagazzinabile En [Wh/W] 0,005
Potenza nominale sviluppabile Pn [kW] 1 ÷ 500
Costo specifico di realizzazione Cs [€/kWh] 1500
Applicazioni tipiche Stabilizzatori in corrente continua in circuiti elettrici di potenza
Soccorritori istantanei per gruppi di continuità assoluta
Accumuli istantanei in mezzi di trazione anche con recupero di ingenti quantità di energia (per esempio in frenata)
Vantaggi Alta potenza specifica sviluppabile
Ottime possibilità future di sviluppo della tecnologia
Efficienza di carica e scarica elevatissima, quasi unitaria
Semplicità e replicabilità costruttiva
Impegno di materiali e peso modesto
Prodotto facilmente industrializzabile anche a fronte dell’elevata esperienza industriale sui condensatori classici
Svantaggi Bassa densità di energia specifica
Alti coefficienti di auto scarica
Bassa tensione nominale raggiungibile dal singolo elemento, problemi di auto scarica e di gestione se connessi in serie
Penalizzate molto tutte le prestazione dai valori di ESR
Auto scarica [%/t] 3%/giorno

Scheda ESS –supercondensatori – caratteristiche medie

6 – ESS Elettromagnetici – Gli SMES (Supercoducting Magnetic Energy Storage)

Gli SMES, detti anche pile elttromagnetiche, sono sicuramente il più avveniristico sistema di accumulo oggi proposto. Questi dispositivi sfruttano una proprietà dei materiali, scoperta all’inizio del 1911 da Heike Kamerlingh Onnes e non spiegabile con la meccanica classica ma con quella quantistica, detta superconduttività. Di fatto, alcuni materiali, puri o compositi (e solo alcuni) hanno, fra le loro proprietà, anche quella di entrare nel cosiddetto stato superconduttivo quando sottoposti a particolari temperature che solitamente sono prossime allo zero assoluto. La temperatura, sotto la quale ogni materiale entra nello stadio superconduttivo è detta temperatura critica TC. Al disotto di questa temperatura succedono, generalmente due fenomeni particolari:

  • La permeabilità magnetica del materiale µr, grandezza che misura la propensione di un materiale ad essere attraversato dalle linee di campo magnetico, si azzera. Questo vuol dire che nello stadio superconduttivo il materiale “espelle” dal suo interno il campo magnetico.
  • La seconda e più importante conseguenza è l’azzeramento della resistenza elettrica al passaggio di corrente. Questo vuol dire che un materiale in superconduzione non offre resistenza al passaggio di corrente e che quindi, a parità di sezione, un superconduttore può trasportare migliaia di volte la corrente rispetto ad un normale conduttore poiché non dissipa energia per effetto joule, riscaldandosi

Il passaggio fra la esercizio critico ed esercizio normale di un materiale si manifesta generalmente nell’arco di pochi decimi di grado ed è quindi una condizione tanto precisa quanto vulnerabile e da difendere tramite l’utilizzo di complessi sistemi di raffreddamento. Gli SMES immagazzinano energia sotto forma di energia magnetica, proprio in opposizione ai loro antagonisti super condensatori che lo fanno sotto forma di energia elettrica come visto nel paragrafo precedente, partendo dall’assunto generale della definizione di energia magnetica della 12 si ha che:

Dove:

L è l’induttanza del circuito magnetico [H]

i è la corrente che transita nel circuito [A]

Uno SMES non è altro che un materiale ad alta permeabilità magnetica circondato da un supercoduttore raffreddato a temperatura critica. Il superconduttore, grazie alla sua possibilità di far passare grandi correnti elettriche al suo interno, genera il campo magnetico il quale viene immagazzinato nel nucleo e li mantenuto fino alla sua estrazione al momento della scarica. Nel magnete l’energia passa continuamente da energia magnetica a elettrica, senza perdite e dissipazioni, fintanto che ovviamente ci troviamo nello stadio superconduttivo. Appare evidente dalla 12 che per immagazzinare grandi quantità di energia si può o aumentare l’induttanza agendo sulla costituzione del circuito magnetico oppure aumentare la corrente circolante utilizzando appunto superconduttori. Uno schema molto esemplificato di uno SMES è mostrato in Figura 8.

Figura 8 – Semplice rappresentazione di principio di uno SMES per applicazione industriale

Il modo di immagazzinare energia fin qui sembra semplice, in realtà gli entusiasmi teorici della tecnologia SMES si scontrano con la pratica per più di un motivo:

  • Per tutti i tipi di materiali costituenti il magnete esiste un problema meccanico: maggiore è la corrente transitante nel magnete, maggiore è la forza di Lorentz a cui gli stessi magneti sono sottoposti secondo la relazione classica 13:

Dove:

q è la quantità di carica in gioco che possiamo supporre costante una volta nota la sezione del conduttore e il regime di corrente in cui ci troviamo [C]

E è il vettore di campo elettrico, in questo caso trascurabile [V/m]

v è il vettore parallelo alla direzione di spostamento delle cariche elettriche (la direzione della corrente) [-]

B è il campo di induzione magnetica proporzionale alla corrente [T]

Il prodotto vettoriale fra il campo di induzione magnetica B e il vettore di direzione della corrente v, unitamente all’intensità di corrente determinano le forze a cui il conduttore è sottoposto. In generale maggiore è il raggio di curvatura del solenoide che costituisce gli avvolgimenti, minore sono le forze ma anche la lunghezza del circuito realizzabile e quindi la sua potenza, mentre circuiti caratterizzati da ampi raggi di curvatura sono caratterizzati da enormi forze centripete che mettono a repentaglio la sicurezza meccanica del magnete stesso.

  • Esistono materiali con temperature critiche alte (HTSC – High Temperature SucperConductors) che entrano nello stadio superconduttivi anche a 60/70 °K. Questo permetterebbe di diminuire molto la spesa energetica per raffreddare i materiali ma, purtroppo, i materiali di cui parliamo sono di derivazione ceramica e, quindi, la loro resistenza meccanica è limitata
  • Nei materiali a bassa temperatura critica (LTSC – Low Temperature SucperConductors) il problema si sposta sul consumo di energia per raffreddare il materiale, questo consumo può essere anche dell’ordine del 30/40% rispetto all’energia immagazzinata/resa poiché i magneti devono essere sottoposti a temperature costanti inferiori ai 20 °K.
  • I magneti, qualora sottoposti a correnti troppo elevate o a campi di induzione magnetica troppo elevati si smagnetizzano, perdendo completamente e per sempre la capacità di immagazzinare energia. I valori di campo limite per i migliori magneti si aggirano intorno ai 5,5/6 T.
  • Qualora il magnete superconduttore non sia adeguatamente raffreddato si può assistere alla al repentino passaggio fra lo stadio superconduttivo e quello conduttivo, fenomeno che porta a dissipare enormi quantità di energia (dovute al sopraggiunto effetto joule) in sistemi non predisposti per questo. Si tratta del cosiddetto fenomeno del quench che può avere anche effetti dirompenti e dannosi verso il sistema esterno e prendere le somiglianze di un esplosione.

Se non consideriamo questi problemi tecnici, che però costituiscono il limite primo degli SMES, le pile magnetiche rimangono un componente perfetto, un pozzo di energia senza perdite (l’energia passa ciclicamente e continuamente da energia elettrica ad energia magnetica dentro l’induttore) dal quale prelevare e immettere istantaneamente energia. I limiti costruttivi, i sistemi di raffreddamento e le geometrie complicate rilegano purtroppo gli SMES soltanto a sorgenti di energia con basse densità di energia, dagli alti costi e per questo usati solo in applicazioni speciali dove è necessaria, per esempio, un estrema qualità della fornitura di energia elettrica (fabbriche di microprocessori, data center ecc.). La scoperta, nel 1993, del materiale a più alta temperatura critica ad oggi conosciuto, 138 °K, (un composto ceramico a base di mercurio, bario, calcio, rame e ossigeno) ha rialimentato ricerche in tutto il mondo alla caccia di un materiale che abbia buone caratteristiche meccaniche e temperature critiche vicine a quelle ambiente, materiale che rilancerebbe definitivamente tutta la tecnologia superconduttiva, compresa quella degli SMES. Non ci possiamo dilungare dipiù su questo interessantissimo argomento, per questo di seguito la sua scheda di valori medi come per le altre tecnologie.

Tempo di carica e scarica tcs [s] 5
Efficienza globale di conversione ƞ [%] 80 (incluso raffreddamento)
Cicli di carica e scarica realizzabili Cyl (in altri termini la vita utile tl) [-] 108
Energia specifica nominale immagazzinabile En [Wh/W] 0,005
Potenza nominale sviluppabile Pn [kW] 20 ÷ 2000
Costo specifico di realizzazione Cs [€/kWh] [17-18] 37.000
(estimated)
Applicazioni tipiche Richieste di fornitura di energia di altissima qualità e con nessuna interruzione
Applicazioni speciali per il filtraggio della tensione di rete dalle armoniche
Vantaggi Rendimento quasi unitario (escludendo il sistema di raffreddamento dei magneti)
Carica e scarica immediate con densità di energia e potenza altissime
Svantaggi Costi altissimi, proporzionali alla dimensione dello SMES
Necessità di raffreddare i magneti, con perdite di energia e pericolo di quench
Difficoltà di costruzione meccanica per contenere le forze di Lorentz
Bassissima densità energetica
Auto scarica [%/t] 0

Scheda ESS –SMES – caratteristiche medie

7 – Raffronti fra tecnologie di accumulo

I confronti fra le varie tecnologie di accumulo sono difficili da operare per numerosi motivi. Uno dei principali risiede nel fatto che non tutte le caratteristiche sono facilmente enumerabili: non si può ad esempio assegnare un numero al fatto che i super condensatori hanno problemi di gestione della scarica e della tensione di ogni elemento, oppure che il costo dei bacini idroelettrici dipende moltissimo dal tipo di terreno, o ancora il fatto che costruire un sistema CAES sotterraneo richiede numerose e difficili autorizzazioni e particolari caratteristiche del terreno. Prima di addentrarci quindi in analisi più mirate vi presentiamo, nella tabella di Figura 9, il quadro delle caratteristiche fino ad ora descritte e riassunte in un’ unica tabella, si tenga ben presente che i valori presentati sono numeri medi e, alcuni, soggetti a grande variabilità anche per i motivi appena citati.

TIPOLOGIA Tempo carica scarica tcs [h] Efficienza
di conversione
ƞ[%]
Vita
Utile
(in cicli)
C [-]
Energia specifica
[Wh/W]
Potenza nominale
Pn [kW]
Costo di realizzazione
Cs [€/kWh]
Auto scarica [%/h]
Bacini
idroelettrici
di pompaggio
22 80 12500 7 1500000 350 0
CAES 7 70 40000 10 137500 350 0
Volani 0,51 90 100000 0,05 10000 6500 0,830
Batterie Piombo acido 1 90 150 0,25 5000 900 0,03
Batterie Nickel Metal idrato 2 70 1000 0,15 2500 1500 0,004
Batterie ioni di litio 3 90 1300 0,24 4000 1300 0,014
Batterie zebra 6 70 1000 0,55 5000 400 0,520
SuperCap. 0,167 97 500000 0,005 250 1500 0,125
SMES 0,0014 80 1000000 0,005 1000 37000 0

Fig. 9 – Riassunto delle caratteristiche numerabili dei principali sistemi di accumulo fin qui analizzati

I numeri di per se rischiano di non essere significativi, ecco perché in Figura 10 vi presentiamo una rappresentazione delle caratteristiche di spicco di ogni sistema di accumulo, cercando di dare una forma alla tabella precedente.

Fig. 10 – Incidenza di ogni caratteristica citata nella tabella di Figura 9 rispetto al totale per ogni tipologia di sistema di accumulo descritto nel presente articolo

Come si può notare ogni tecnologia ha i suoi punti di forza e di debolezza: i bacini idroelettrici e i CAES costano poco, le batterie hanno alti rendimenti medi, gli SMES non presentano auto scarica ecc. All’atto pratico però le cose sono diverse. I sistemi di accumulo sono spesso scelti in base alla funzione cui essi sono chiamati ad assolvere. Le applicazioni tipiche che troviamo per i sistemi di accumulo, oggi, sono definibili nelle seguenti categorie:

  • Applicazioni di brevissima durata (power quality, energy recovery system, UPS): sono sistemi di accumulo chiamati a intervenire in brevissimo tempo e spesso con energie limitate. La loro principale funzione è quella di garantire qualità della tensione di alimentazione ad utenze privilegiate facendo fungere l’accumulo da “pozzo” dal quale poi alimentare utenze estremamente delicate (è il caso degli SMES), oppure devono fungere da serbatoio per grandi quantità di energia immesse o prelevate per periodi molto limitati (è il caso delle super capacità nei veicoli elettrici con il recupero di energia in frenata). Le energie totali accumulabili sono spesso basse e i costi notevoli.
  • Applicazioni di supporto ai transitori di rete e per lo spostamento del carico. Questo settore è forse quello che ha il maggiore risalto commerciale nei nostri giorni. Fanno parte di questa categoria quei sistemi di accumulo che compiono funzioni principalmente di load shifting. Un esempio classico di questo utilizzo è quello che si prefigura nel mercato fotovoltaico residenziale dove, fra breve tempo, assisteremo all’installazione di batterie associate agli inverter fotovoltaici. Questi sistemi accumulano energia solare durante il giorno, quando c’è sole ma il carico familiare è pressoché nullo poiché nessuno è in casa, e la restituiscono la sera quando invece le utenze domestiche tornano a salire. Fanno parte di questa categorie anche applicazioni energy intensity come l’installazione nelle reti di distribuzione e di trasmissione di batterie ZEBRA atte a livellare eccessivi picchi di produzione (tipicamente da parchi eolici) o di domanda di carico a seguito di mancanza di produzione. Sono applicazioni che utilizzano grandi quantità di batterie spesso caricate e scaricate alla corrente massima nominale e sono ad oggi la tecnologia maggiormente utilizzata e in via di commercializzazione.
  • Apllicazioni di rete. Rientrano in questo campo quelle installazioni di grande potenza che possono essere considerate a tutti gli effetti centrali elettriche e, come tali, sono atte a regolare la rete in tensione e in frequenza. Al momento gli unici sistemi di regolazione di rete sono costituiti dai bacini di pompaggio e dai molto più rari sistemi CAES. Queste applicazioni, nel mercato elettrico moderno, costituiscono delle vere e proprie risorse privilegiate poiché capaci di aumentare la penetrazione delle fonti rinnovabili intermittenti all’interno del sistema elettrico. La loro ottima versatilità e importanza sono però frenate dal fatto che la loro nuova costruzione è quasi sempre problematica a causa dei vincoli paesaggistici e territoriali nei territori in cui vanno ad impattare.

Al fine di chiarire meglio la collocazione di ogni forma di energia descritta si riassume in Figura 10 la loro collocazione rispetto alla potenza massima generabile e al loro tempo di carica e scarica.

Fig. 11 – Collocazione dei vari sistemi di accumulo in base alla loro potenza nominale di accumulo e al loro tempo di carica e scarica. Si tenga conto che più alto e più a destra è il segmento maggiore è l’energia accumulabile dal sistema dato che l’energia, in linea di massima è data dal prodotto potenza per tempo.

Conclusioni

L’argomento dei sistemi di accumulo è vasto e complicato. Noi di Energyhunters lo abbiamo trattato principalmente perché pensiamo possa essere uno degli argomenti commerciali del prossimo futuro poiché la discrepanza fra variazione di domanda e variazione di produzione di energia nel mercato elettrico moderno è destinata ad aumentare e sempre dipiù potrebbe quindi servire un cuscinetto come gli ESS che si inserisca fra domanda e offerta, soprattutto in assenza di regolazione distribuita. Riguardo al caso italiano, e non solo, è però da segnalare che molto potrebbe essere fatto prima di ricorrere all’uso massiccio di sistemi di accumulo, i quali, soprattutto nel caso delle batterie, non sono affatto esenti da costi ambientali ancora poco noti e di difficile soluzione. In particolare sono due i provvedimenti che possono essere messi in campo per ridurre drasticamente il ricorso ai sistemi di accumulo:

  1. REGOLARE LA RETE DA PARTE DI TUTTI I PRODUTTORI. Obbligare i produttori rinnovabili a produrre solo e soltanto in presenza di parametri di rete (frequenza e tensione) definiti. Nel caso in cui, invece, la frequenza o la tensione evadano dai parametri nominali è necessario che tutti i generatori, dal più piccolo fotovoltaico al più grande parco eolico, regolino la rete in maniera percentuale alla loro potenza nominale. La regolazione distribuita permetterebbe una maggiore sicurezza di risposta della rete elettrica nazionale e un auto livellamento (anche al ribasso) delle produzioni dei singoli, permettendo però al contempo una maggiore penetrazione delle fonti energetiche rinnovabili nel settore.
  2. Migliorare le previsioni di produzione tramite modelli meteo, provvedimento che ha già portato numerosi frutti nel presente, anche in Italia.

La sensazione è che la regolazione distribuita che abbiamo accennato vada però a colpire proprio il settore di regolazione che vuole ad oggi essere riservato commercialmente alle batterie e agli ESS. Il timore è che proprio sulle batterie si voglia costruire il prossimo grande business speculativo connesso alle fonti energetiche rinnovabili cucendogli addosso il fittizio ruolo di solo metodo di regolatrici di rete. I paradossi in questo senso sono ancora più grandi se si pensa che, in Italia, ad oggi, non è possibile, per legge (leggere la nota del GSE in merito [20] [21]) installare un sistema di batterie per uso domestico associato a fotovoltaico. Questo ultimo provvedimento nasconde la grande paura delle società energetiche del cosiddetto fenomeno del gridless ossia del fatto che molte abitazioni possano e potranno sempre più fare quasi completamente a meno della rete elettrica una volta installato, per esempio, un impianto fotovoltaico o mini eolico dotato di batterie o di un altro sistema di accumulo. Questo fenomeno inciderebbe in maniera definitiva su coloro che l’energia la producono dalle centrali, la vogliono vendere tramite i trader privati e la vogliono trasportare su grandi distanze. Insomma una situazione paradossale: batterie sulla rete per regolare si, batterie nelle abitazioni per raggiungere l’indipendenza energetica domestica no. Lo scenario sembra apparire tanto nebuloso quanto evidentemente intaccato da interessi politico/economici, a tutto danno dei cittadini. Proprio in questi giorni si sta discutendo in parlamento il riassetto degli incentivi sulle fonti rinnovabili, le voci sono quelle che vorrebbero una legge che vada a colpire e penalizzare, invece che ad incentivare, l’autoconsumo, tassando dipiù gli utenti che auto consumano e sgravando le bollette di coloro che invece non installano energie rinnovabili. Una situazione quasi paradossale che speriamo non si realizzi mai poiché intaccherebbe le speranze di green economy nel nostro paese. [22] Più in generale però, in conclusione, noi di Energyhunters crediamo che i sistemi di accumulo non siano ne tecnologie che possano risolvere i problemi energetici del pianeta, ne tecnologie con ampi margini di sviluppo. Perché? Semplicemente perché la natura non accumula, la natura crea, trasforma e distrugge continuamente, l’accumulo non è previsto salvo in rarissimi casi e molto limitati. Questo probabilmente per il fondamentale fatto che l’energia immessa è sempre superiore a quella poi ri-convertita dal sistema di accumulo; in altre parole l’accumulo, come tutti i sistemi, è imperfetto per definizione, e quindi introduce perdite. E’ chiaro che lo stadio evolutivo umano non è neanche paragonabile alla sapienza millenaria della natura, ma, siamo convinti, che è da essa a cui dobbiamo inspirarci, da essa dobbiamo imparare che riuscire a gestire l’immediato (regolando la rete in modo democratico e distribuito) ha troppo più valore che rifugiarsi nel facile, ma pericoloso, giaciglio dell’accumulo, accumulo che, visto in quest’ottica, rischia di apparire come un inutile sistema in più.

References

[1]: Electrical Energy Storage – IEC – International Electrotechnical Commission – ISBN 978-2-88912-889-1

[2]: Ocatvio Torres – Life cycle assessment of a pumped storage power plant – NTNU – Norwegian University of Sience and technology – http://www.diva-portal.org/smash/get/diva2:455355/FULLTEXT01.pdf

[3]: Assessment of the European potential for pumped hydropower energy storage – JRC Scientifica and policy reports – Marcos Gimeno-Gutiérrez Roberto Lacal-Arántegui – European Commission Joint Research Centre Institute for Energy and Transport – http://ec.europa.eu/dgs/jrc/downloads/jrc_20130503_assessment_european_phs_potential.pdf

[4]: Challenges and Opportunities For New Pumped Storage Development – A White Paper Developed by NHA’s Pumped Storage Development Council – http://www.hydro.org/wp-content/uploads/2014/01/NHA_PumpedStorage_071212b12.pdf – January 2014

[5]: Controllable and affordable utility-scale electricity from intermittent wind resources and compressed air energy storage (CAES) – Alfred Cavallo – Princeton, NJ 08540, USA – October 2005

[6]: Energy storage Power Corporation – CAES Section – http://www.espcinc.com/mobile/index.php?option=com_k2&view=item&id=10:caes-adiabatic&Itemid=3

[7]: David G. Vutetakis – The Avionics Handbook – Chapter 10 – http://www.davi.ws/avionics/TheAvionicsHandbook_Cap_10.pdf

[8]: Università degli studi di Padova – Facoltà di ingegneria – Tecnologia ed innovazione dell’immagazzinamento elettrochimico dell’energia – Tesi triennale di Nicola Canon – http://tesi.cab.unipd.it/40433/1/Tesina_Caon_Nicola.pdf

[9]: Jhon W. Stevens and Garth P. Coney – A Study of Lead-Acid Battery Efficiency Near Top-of-Charge and the Impact on PV System Design – Sandia national laboratories – http://windandsunpower.com/Download/Lead%20Acid%20Battery%20Efficiency.pdf

[10]: “Confronto tecnico – economico tra le tecnologie per l’accumulo elettrochimico di energia per la trazione elettrica” – Università degli studi di Padova, dipartimento di ingegneria elettrica – Nicola Bonfante – http://tesi.cab.unipd.it/25905/1/TESI_finale_in_PDF.pdf

[11]: Lithium Ion Rechargeable Batteries – Technical Handbook – http://www.sony.com.cn/products/ed/battery/download.pdf

[12]: Figura tratta dal sito web – http://blog.exair.com/2011/08/01/history-of-compressed-air/

[13]: Figura tratta dal sito web – http://www.nature.com/nchem/journal/v2/n9/full/nchem.763.html?hilite_compound=true

[14]: Cord – H. Dustmann – MES-DEA S.A. Switzerland – Advances in ZEBRA batteries http://www.gunnarmusan.de/Material/Advances%20in%20ZEBRA%20Batteries.pdf

[15]: Vanin Fabio – UniPd – Controllo della tensione sulle reti elettriche di distribuzione tramite sistemi di accumulo dell’energia elettrica – http://tesi.cab.unipd.it/25041/1/REPORT_FINALE.pdf

[16]: Tesina – Il supercondensatore – caratteristiche e prospettive – Università di Padova, Facoltà di Ingegneria – http://tesi.cab.unipd.it/26357/1/Tesina_-_Il_supercondensatore_-_caratteristiche_e_prospettive.pdf

[17]: Michael A. Green and Bruce P. Strauss – The Cost of Superconducting Magnets as a

Function of Stored Energy and Design Magnetic Induction times the Field Volume – http://mice.iit.edu/micenotes/public/pdf/MICE0188/MICE0188.pdf – IEEE Transactions on Applied Superconductivity 18, No. 2, LBNL-63482

[18]: Five minute guide – Electricity Storage Technologies http://www.arup.com/

[19]: Schema http://www.sciencemag.org/content/334/6058/928/F1.large.jpg

[20]: il GSE dice no agli impianti fotovoltaici con batterie – http://www.fotovoltaicosulweb.it/guida/il-gse-dice-no-ai-sistemi-di-accumulo.html

[21]: Impianti incentivati dal GSE: interventi di modifica della configurazione impiantistica mediante installazione di sistemi di accumulo – 20 settembre 2013 – http://www.gse.it/it/salastampa/news/Pages/modifica-della-configurazione-impianti-incentivati-con-sistemi-di-accumulo.aspx

[22]: http://www.qualenergia.it/articoli/20140715-taglia-bollette-verso-la-modifica-dello-spalma-incentivi-e-della-norma-su-autoconsumo

Energy Hunters è formato da ingegneri e ricercatori provenienti dal dipartimento di Ingegneria Elettrica dell’Università di Bologna. Ci proponiamo come riferimento professionale nella determinazione del potenziale rinnovabile di un sito, nella certificazione energetica e nella consulenza per le energie rinnovabili.

One Comment

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.